Intervista a Valerio Terreri: di game design e di serious game – seconda parte
Come si crea un videogioco? Che caratteristiche hanno i “serious game”? Continua la nostra chiacchierata con Valerio Terreri… (qui la prima parte)
Cosa cambia il serious game rispetto agli altri generi di giochi? Sia dal punto di vista della progettazione concreta che dal punto di vista della percezione del mercato e del pubblico…
Il mercato è completamente diverso; per intenderci, è separato da quello di GameStop. Il giocatore “classico” infatti difficilmente si avvicina a un serious game, che spesso non ha l’appeal tecnologico giusto per motivarne l’acquisto. Alle spalle di un serious game c’è un progetto particolare, un insegnante, un percorso educativo e/o sociale.
Per quanto riguarda la progettazione ci sono delle differenze sostanziali, proprio perché un serious game di solito parte da un’esigenza precisa. A quel punto come designer devi essere abile a costruire un gioco che giri su questa esigenza ma non si appiattisca su di essa.
Mi spiego meglio: è un po’ come per il cinema. Io sono un appassionato di George Romero: i suoi primi film secondo me sono stati importantissimi, perché usavano l’horror come metafora per un messaggio politico e sociale. Il problema di Romero adesso è che si è “dimenticato di fare film”, è troppo concentrato sul messaggio che sente di dover assolutamente comunicare e dimentica di dovere intrattenere lo spettatore, che alla visione dei suoi ultimi lavori inevitabilmente sbadiglia.
La stessa cosa si può dire per i serious game. Bisogna costruire un videogioco attorno a un tema, però alla fine non ci si deve basare esclusivamente sul fine educativo-didattico, o quello che è, altrimenti si rischia di fare un gioco poco divertente e crolla l’intera costruzione. Vedo il serious game come un cavallo di Troia, utile per veicolare un particolare messaggio e per raggiungere un determinato scopo. Però il cavallo di Troia va costruito bene. Se si vede cosa c’è all’interno non funziona.
Ci racconti il progetto in cui sei coinvolto?
Il progetto Riabiligame di CoRehab nasce dall’idea di creare uno strumento ludico che consenta a chi sta seguendo un percorso riabilitativo, in seguito a un trauma fisico o a un intervento, di avere la certezza di eseguire gli esercizi in maniera corretta anche a casa, ovvero in quel momento in cui il paziente normalmente non può essere guidato dalle indicazioni di uno specialista. Questa certezza è garantita dal fatto che sono gli stessi fisioterapisti che seguono il paziente a impostare i parametri di gioco, e in seguito, in qualsiasi momento via web, a controllare i risultati che questo ha ottenuto giocando.
Il videogioco consente al fruitore di raccogliere una serie di bonus, evitando dei malus. Si tratta di una meccanica di gioco molto semplice, che però ci permette di avere un controllo totale sul movimento del paziente, evitando in qualsiasi modo di fargli compiere sforzi controproducenti .
Il protagonista, anche per richiamare le origini della produzione (la sede di CoRehab è a Trento), è un orsetto che si muove in diverse ambientazioni alla ricerca di barattoli di miele. A parte qualche schermata, stiamo sviluppando tutto interamente in 3D, e io mi occupo, oltre che del design, anche della grafica e della modellazione di qualsiasi elemento che poi finisce nel gioco.
I livelli vengono generati in base alle impostazioni del fisioterapista; sia chiaro, questo prodotto deve essere uno strumento di supporto medico per gli specialisti e in nessun modo deve scavalcare il loro lavoro.
Il paziente può controllare l’avatar attraverso una pedana e una serie di sensori che applicherà sul corpo prima di iniziare a giocare. Anche l’aspetto dei sensori è molto delicato in questo progetto. Dobbiamo da un parte ricavare dei dati molto dettagliati, che consentano ai fisioterapisti di tracciare esattamente il percorso riabilitativo più indicato al paziente, dall’altra però vogliamo che il prodotto sia fruibile anche da chi a casa è da solo, quindi stiamo facendo molta attenzione, oltre alla precisione, anche alla comodità dei sensori e delle fasce che li contengono.
Per un progetto del genere le fasi di testing sono, se possibile, ancora più fondamentali, perché oltre a dovere sistemare bug vari legati al gioco dobbiamo costantemente avere la certezza che ci stiamo muovendo nella giusta direzione per quanto riguarda l’aspetto riabilitativo. Abbiamo a che fare con la salute delle persone, non possiamo permetterci di sbagliare! Per questo lavoriamo a stretto contatto con un team di fisioterapisti.
L’interazione e il confronto con le figure mediche o paramediche immagino siano molto stringenti…
Si, è un confronto costante e imprescindibile, e posso aggiungere che le persone che ho incontrato si divertono ad aiutarci nel nostro lavoro, sono molto stimolati da questo approccio “diverso”, ne vedono il carattere di innovazione.
A pensarci questo è strano: di solito la gente storce il naso alla parola videogioco; evidentemente dipende molto da come glielo presenti, e nel nostro caso credo che si capisca da subito lo “scopo nobile” del progetto. Al momento ci stiamo preparando al quarto ciclo di test. L’ultima volta i pazienti hanno dichiarato che fanno più volentieri gli esercizi con il videogioco piuttosto che da soli, e questo per noi è un ottimo risultato. Poi ci sarà tempo per “abbellimenti” vari.
Il tuo sogno professionale?
Sicuramente continuare coi videogiochi; se riuscissi a lavorare in questo settore tutta la vita, nonostante le difficoltà di cui abbiamo parlato prima, sarebbe già di per sé un sogno, a prescindere dalla tipologia dei progetti in cui sarei coinvolto.
Certo, prima o poi mi piacerebbe provare a raccontare una storia attraverso un videogioco, per questo nel tempo libero continuo a lavorare su idee che un giorno mi piacerebbe concretizzare. A dire il vero a livello indipendente sto già facendo qualcosa.
Sto portando avanti alcuni progetti paralleli, uno è un platform, l’altro un’avventura… Vi aggiornerò sugli sviluppi!
@catebonora
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